La canzone del pescatore
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Vurria addeventare pesce d’oro,
Vurria addeventare pesce d’oro,
dint’a lu mare me jesse a menàre.
dint’a lu mare me jesse a menà,
jesse a menare.
Venesse ‘o piscatore e me pescasse,
dint”a ‘na chianelluccia me mettesse.
Venesse nenna mia e me comprasse,
dint’ a ‘na tielluccia me friesse.
Me voglio fà ‘na casa ‘mmiez’ ‘o mare,
fraverecata de penne de pavone
Quanno nennella mia se va affacciaje
Ciascuno dice mo spunta lu sule
Je voudrais devenir un poisson d’or
Je voudrais devenir un poisson d’or
pour aller dans la mer
pour aller dans la mer
dans la mer
que vienne un pêcheur et qu’il me pêche
et qu’il me mette dans son panier
que vienne mon amour et qu’elle m’achète
et que dans une poelle elle me fasse frire
je veux me faire une maison au milieu de la mer
construites avec des plumes de paon
quand mon amour se met à la fenêtre
tout le monde dit que le soleil s’est levé
Villanella napoletana composta da due testi di diverse provenienze, interpretata dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare nel 1972. L’armonizzazione di questa versione è di Angelo Pugolotti
La villanella è una forma musicale che ebbe la sua massima diffusione nel corso del Sedicesimo secolo, di cui troviamo le prime tracce in una pubblicazione del 1536. Si tratta di una raccolta di 15 componimenti anonimi, quasi tutti in napoletano, a tre voci. Benché di origine popolare (“villano” vuol dire appunto “contadino”), l’immediatezza melodica e la vivacità ritmica della villanella ne fecero una fonte di ispirazione per compositori colti, soprattutto francesi e fiamminghi, capaci di costruire armonizzazioni di grande complessità come di appassionarsi di composizioni anonime di tradizione orale. Fu proprio uno di loro, Adrian Willaert, a portare la villanella a Venezia (all’epoca capitale dell’editoria musicale) e da lì nel resto d’Europa dove si diffuse a macchia d’olio.
“Vurria addeventare”, “vorrei diventare”, è l’incipit di molte villanelle, tutte di tema amoroso, nelle quali l’innamorato immagina di trasformarsi per poter stare vicino all’amata.
Testi che fanno spesso ricorso a immagini suggestive e potenti, che nascono dall’osservazione della natura e dei suoi cicli, com’è tipico nella poesia popolare soprattutto del sud Italia.
Secondo una leggenda popolare, la prima parte del testo sarebbe nientemeno che l’ultimo canto di Virgilio (il massimo poeta dell’antica Roma, autore dell’Eneide, che abitò a Napoli e che vi fu venerato come divinità per secoli). Ecco come la racconta Ferdinando Zaccariello, contadino e cantastorie di Villa di Briano (Caserta): «…Il mago-poeta se ne stava sulla montagna di Montevergine e componeva i canti così come glieli ispirava una testa di morto che teneva sempre con se. Questa testa prediceva il futuro ed era la testa di una vecchia che gli aveva anche raccomandato di non andare mai per mare. Ma Verginio, innamoratosi di una femmina siciliana partì con una nave e morì mentre cantava l’ultimo suo canto…
Queste ed altre canzoni sono scritte in un libro caduto in fondo al mare, pur tuttavia alcune persone le hanno imparate avvicinando all’orecchio una conchiglia e così le hanno insegnate agli altri».
La seconda (“me voglio fa ‘na casa in mezzo o mare…”) parte riprende il testo, probabilmente originario dell’isola di Procida, che ispirò la famosa “Canzone marenara” del compositore bergamasco Gaetano Donizetti, in vacanza sull’isola nel 1835.