Il canto delle mondine
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Dodici, quindici ore al giorno nell’acqua fino al ginocchio, piegate a raccogliere e piantare riso. Così per quaranta giorni, lontano da casa, mangiando polenta e riso, dormendo sui pagliericci nelle baracche. Quando lavoriamo è proibito parlare, e se una di noi lo fa il caporale ci riprende anche con minacce. Ma per fortuna cantare si può. Così, quando vogliamo comunicarci qualcosa, magari che una nostra compagna sta male, o per annunciare uno sciopero, ci mettiamo a cantare
Bruna Salerni, sindacalista attiva nelle lotte delle risaie nella zona del Magentino (Milano). Testimonianza raccolta da Dina Caprara.
Molti dei canti che proponiamo appartengono al repertorio delle mondine, le donne che per oltre un secolo, da metà Ottocento fino agli anni Settanta, hanno lavorato nelle risaie del Nord Italia.
I canti di questo repertorio rappresentano uno straordinario esempio di canto sociale, oltre che un efficace strumento pedagogico per accostarsi al canto popolare in generale. Il canto polifonico delle mondine nasce collettivamente, come mezzo per comunicare, per rompere la ripetitività del lavoro, per darsi forza e per riconoscersi all’interno di una comunità.
I codici del canto mondino
E’ interessante notare come i codici di questo tipo di canto si siano adattati al contesto di lavoro e di vita:
– dal punto di vista del repertorio: canti che provengono dai repertori di tradizione orale di diverse regioni e culture, ma non solo. Ci sono ballate popolari, strofette satiriche e licenziose, canti a ballo, canti d’amore, canti di lotta e di denuncia sociale, arie d’opera e, a partire dall’avvento della radio, canzonette commerciali, spesso con parole rivisitate; essendo la modalità esecutiva lontanissima dalle necessità di un’esibizione, i tempi sono spesso dilatati (bisognava pure far passare il tempo…) e parti di un canto possono tranquillamente inserirsi in un altro con buona pace della conseguenza logica; la lingua utilizzata è spesso un misto di italiano e dialetto, una sorta di “lingua franca” che attinge soprattutto dalle parlate locali della Pianura Padana.
– dal punto di vista della vocalità: un’estetica che risponde a criteri diversissimi da quelli del “bel canto” insegnato nelle scuole di musica, appannaggio delle classi più agiate. Voci tese e squillanti, capaci di risuonare all’aria aperta, ricchissime di armonici. Voci “disturbanti” per l’estetica di allora, come per quella di oggi, soprattutto perché voci di donne che non stanno al loro posto, che non temono di essere giudicate sopra le righe, volgari o sguaiate, e che anzi fanno della propria specificità una rivendicazione di appartenenza;
– dal punto di vista dei codici di armonizzazione: una particolare predilezione per le terze e le quinte, con uno schema ricorrente talmente accessibile ed efficace da consentire a chiunque di inserirsi in un canto praticamente senza conoscerlo e senza stravolgerne la struttura. Una voce solista (spesso la più anziana o la più carismatica della squadra) lancia la prima frase, stabilendo ritmo e tonalità, una o più voci rispondono a un intervallo di terza, il resto del gruppo si inserisce con un bordone. Il tutto arricchito da melismi, ritardi e varianti. Una vera e propria palestra per capire le regole base dell’armonia senza necessariamente conoscerne la teoria.
I temi
Il repertorio mondino si compone di numerosi testi nei quali vi sono alcuni temi ricorrenti:
– La solidarietà, lo coscienza dello sfruttamento, il desiderio di emancipazione. La migrazione stagionale di un gran numero di donne, provenienti da contesti culturali anche molto diversi, permise loro di sviluppare forme di solidarietà e consapevolezza impossibili da raggiungere nel mondo chiuso della famiglia contadina.
Fu la prima generazione di donne a trovarsi fuori dal controllo della famiglia; la scoperta di una condizione comune di sottomissione permise una nuova presa di coscienza rispetto allo sfruttamento, espressa frequentemente sotto forma di sfottò sarcastici contro il padrone, ma anche rispetto alla rigido controllo patriarcale che fino ad allora aveva rappresentato il solo orizzonte morale per molte di loro. E’ così che nei canti comincia ad apparire la rivendicazione, ironica e insolente, di una relativa libertà sessuale, di una volontà di emancipazione e di una propensione alla lotta. Le stesse mondine, che contribuirono a infiammare la Pianura Padana nelle rivolte di fine Ottocento, furono anche le protagoniste di forme estremamente avanzate do solidarietà contadina, le leghe di resistenza di cui si parla nel più noto dei canti di tradizione mondina, La Lega.
– La nostalgia della casa, della famiglia, degli amori. Il lavoro nelle risaie, per quanto duro e mal pagato, rappresentava per molte famiglie contadine un importante sostegno economico. Nei canti mondini è spesso evocata la figura della madre, ma anche di un innamorato che aspetta a casa.
– Le condizioni di lavoro estremamente dure. Durante i quaranta giorni della “monda”, le mondine restavano dodici ore con i piedi nell’acqua per separare il riso dalle piante infestanti, fonte di malaria una volta accumulate marcire a lato del campo. Nella risaia, dove si è mal nutrite e affaticate dal lavoro, si perdono i propri colori (indice di buona salute) che verranno ritrovati una volta tornate a casa.