E lu menestre Colombe

E lu menstre Colombe
ha fatte nu progette
ha fatte nu progette pe’
pe’ li disoccupate

E stetev’attente
e voi d’la poblazione
impareteve a legge a scrive pe’
defendeve da li padrune

Tutti i disoccupeti da
mugghieri l’ha separeti
e glie ha fette nu bullettine a
confino l’heve mannete

E stetev’attente…

Tutti i disoccupeti da
mugghieri l’ha separeti
e glie ha fette nu bullettine a
Germania l’heve mannete

E stetev’attente…

Et le ministre Colombo
a fait un projet
a fait un projet pour
pour les chômeurs

Faites attention,
vous de la population
apprenez à lire et à écrire
pour vous défendre des patrons

Il a séparé tous les chômeurs
De leurs femmes
il a rédigé un mandat
il les a exilés

Faites attention, vous de la population…

Il a séparé tous les chômeurs
De leurs femmes
il a rédigé un mandat
et en Allemagne il les a envoyé

Faites attention, vous de la population…

Audio e video
Giovanna Marini - E lu menestre Colombe
Echos de galerie - podcast

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Parole di Giuseppe Miriello, cantante e militante comunista, scritte negli anni Cinquanta su un’aria di cantastorie.

Secondo il racconto di Giovanna Marini, che registrò il canto durante le sue ricerche in Basilicata, Giuseppe Miriello era solito cantare le sue composizioni davanti alla chiesa, all’uscita dalla messa, per denunciare la disonestà della classe politica e lo scandalo dello sfruttamento.
Spesso le sue invettive erano indirizzate al suo conterraneo Emilio Colombo, che aveva fatto carriera in politica fino a diventare Ministro nel Governo della Democrazia Cristiana, cosa che lo rendeva, agli occhi di Miriello e dell’immaginario popolare, responsabile di ogni nefandezza compiuta dal Governo.

Benché si parli di “Germania”, nel canto si denuncia l’accordo col Belgio, siglato dal Governo democristiano nel 1946, quando in realtà Colombo non era ancora Ministro. Per una persona a malapena alfabetizzata, con una conoscenza approssimativa della geografia europea, “Germania” era tutto ciò che si trovava a nord dell’Italia…

Negli anni Cinquanta l’Italia fatica a riprendersi dal disastro della Prima Guerra Mondiale, la disoccupazione è alle stelle e mancano le materie prime. Dall’altra parte, il Belgio possiede un sottosuolo ricchissimo di carbone, ma non la manodopera disposta ad estrarlo. E’ così che i due Stati siglano un accordo che permetterà l’invio di 50.000 lavoratori italiani in cambio di centinaia di tonnellate di carbone.

In teoria il contratto proposto agli emigranti è allettante: viaggio pagato, ottimo stipendio, alloggio garantito, con la possibilità di farsi raggiungere dalla famiglia in seguito. E i lavoratori saranno selezionati dalle Camere del Lavoro. Sembra tutto perfetto, in teoria…
In pratica le cose stanno molto diversamente: i lavoratori sono selezionati dalle parrocchie, che privilegiano uomini non sindacalizzati, provenienti dai centri più poveri del sud, meglio se analfabeti: futuri minatori docili e incapaci di leggere le clausole del contratto.
Quelle che dicono, per esempio, che il costo del viaggio sarà trattenuto dallo stipendio, che gli “alloggi garantiti” sono in realtà baracche miserabili, nelle quali è impossibile far abitare una famiglia, che il salario non è minimamente sufficiente a ripagare la fatica e il pericolo cui questi lavoratori sotto sottoposti. E la clausola più vergognosa, quella che li rende dei veri e propri schiavi : non è possibile lasciare il lavoro prima di un anno, pena la prigione.
E’ in queste condizioni di assoluta mancanza di diritti (e quindi di garanzie) che maturano le condizioni per quello che passerà alla storia come uno dei più gravi incidenti minerari della storia europea: il disastro di Marcinelle, nel quale, l’8 agosto 1956, muoiono 262 persone, di cui 136 immigrati italiani.
Su questi deportati, su questi schiavi dimenticati, si fonda quella che oggi viene celebrata con grande sfoggio di retorica come la “grande” ricostruzione dei Paesi europei.

E’ invece senza alcuna retorica, con poche e semplici parole, che un grande artista dimenticato sintetizza il sentire collettivo con l’efficacia propria della poesia popolare. E più che mai attuale l’avvertimento che ritorna ad ogni ritornello: imparate a leggere e a scrivere, per difendervi dai padroni.