Mamma mia mi sun stufa

Mama mia mi sun stüfa
O de fa la filerina
cal e el poc a la matina
el pruvin dü volt al di.

Mama mia mi sun stüfa
tütt al di a fa andà l’aspa
voglio andare in bergamasca
bergamasca a lavorar.

El mestè de la filanda
l’è el mestè degli assassini
poverette quelle figlie
che son dentro a lavorar.

Siam trattate come cani,
come cani alla catena,
non è questa la maniera
o di farci lavorar.

Tütt me disen che sun nera
l’è ‘l culur della caldera
il mio amor me lo diseva
de fa no ‘stu brüt mestè.

Tütt me disen che sun gialda
l’è ‘l culur della filanda
quando poi sarò in campagna
miei color ritorneran.

Maman, j’en ai marre
de faire la fileuse.
Le « cal » et le « poc » au matin*
Le contrôle de la qualité deux fois par jour

Maman, j’en ai marre
toute la journée à tourner le fuseau
Je voudrais partir à Bergame
À Bergame pour travailler

le métier de la filature
c’est le métier des assassins
Pauvres filles
Qui travaillent à l’intérieur

Nous sommes traitées comme des chiens,
comme des chiens à la chaîne.
ce n’est pas la bonne façon
De nous faire travailler

Tout le monde dit que je suis noire,
mais c’est à cause de la chaudière.
Mon amoureux me disait
de ne pas faire ce sale travail.

Tout le monde dit que je suis jaune,
c’est la couleur de la filature.
Quand je reviendrai à la campagne,
mes couleurs reviendront.

*”Cal” et “poc” étaient des tests de quantité sur le fil produit. Le “cal” (diminution) se produisait lorsque la quantité de déchets dépassait les limites autorisées. Le “poc” (peu), par contre, se produisait lorsque la filature, tout en respectant la proportion entre le fil et les déchets, avait produit peu de fil.

 

Audio e video
Anna Casilino - Mamma mia mi sun stufa
Il tuo sostegno ci permetterà di continuare ad offrire i nostri contenuti gratuitamente e senza pubblicità. Grazie!

Canto lombardo di filanda, di origine sconosciuta, pubblicato per la prima volta nel 1940.

Come accadde nelle risaie, anche nelle filande l’incontro di tante donne che arrivavano da luoghi diversi dette vita a un repertorio proprio, fatto di canti d’amore, stornelli, canzoni in voga all’epoca, ballate popolari. Più raramente, come in questo caso, il canto denunciava le condizioni di sfruttamento a cui le filandere erano sottoposte.

Molto probabilmente le due strofe centrali, il cui tono si distacca nettamente dal resto del testo, sono di aggiunta più recente; denunciano senza mezzi termini le durissime condizioni di lavoro e dimostrano una vera e propria coscienza dello sfruttamento. Dall’io narrante si passa al noi, parlando a nome di un plurale carico di indignazione e probabilmente più organizzato.
Le strofe finali fanno riferimento a un tema ricorrente nel repertorio della filanda, come in quello della risaia: il colore malsano della pelle delle operaie, a denunciare le pessime condizioni in cui lavoravano, e la speranza di ritornare un giorno al colorito sano della vita in campagna.

Le condizioni di lavoro nelle filande erano molto dure. Dopo un lungo periodo di prova non retribuito, si lavorava 12 ore al giorno, le mani nell’acqua bollente, impregnate da un’atmosfera calda e umida mantenuta da una grande caldaia costantemente in funzione. Per evitare di abbassare la temperatura, rischiando di compromettere la qualità dei bozzoli di seta, i padroni rifiutavano di aprire le finestre e arieggiare i locali. Il clima insalubre portava frequentemente ad ammalarsi di tubercolosi.
La paga , già di per sé miserabile, era decurtata spesso da un sistema di multe che colpiva chi non lavorava abbastanza in fretta e bene o chi non rispettava le regole.
Parlare era vietato, ma cantare si poteva ed è così che generazioni di “filandere” formarono questo grande repertorio di canti, paragonabile a quello delle mondine.

Armonizzazione delle Voci di Mezzo